Sembra incredibile, ma il momento fatidico é arrivato. Dopo ben 6 stagioni e 106 episodi, ‘This is Us’ ha chiuso i battenti.
Reputata una delle serie meglio realizzate e – aggiungo – sicuramente più viste dell’ultimo decennio, la serie ha deliziato i suoi fan con l’ultimo episodio martedì 24 maggio sull’emittente statunitense NBC.
Vorrei dire da subito una cosa: WHAT – AN – INCREDIBLE – JOURNEY. Onore al creatore della serie – quel genio di Dan Fogelman – e agli sceneggiatori. Ci hanno fatto piangere dalla prima all’ultima puntata, ma in maniera catartica. Missione non da poco.
Sul piano narrativo, la strategia vincente é stata sicuramente il racconto su piani temporali differenti – passato, presente e futuro. Una tecnica che molte altre serie hanno copiato, ma l’originale – si sa – resta sempre il migliore. I cliffhangers a fine di quasi ogni episodio, con flash di anticipazioni sul futuro dei personaggi, hanno dato il valore aggiunto.
Al di sopra di tutto, però, gli attori e i personaggi: pazzeschi. Questa storia partita in sordina di tre fratelli gemelli (di cui uno adottato e di colore – con tutte le problematiche del caso) si é trasformata in breve tempo in un viaggio avvincente: la saga dei Pearson. Si fa fatica a non amare ognuno dei personaggi coinvolti – che siano i Big Three, i loro genitori o i consorti – pur con il loro bagaglio a volte pesante e i loro scivoloni. I personaggi hanno avuto così tanta storia da raccontare negli anni, che era impossibile non affezionarsi a loro e non osservarne la crescita, la maturazione, i cambiamenti.
Quello che ho trovato più bello in assoluto? La meravigliosità di questa famiglia con (e non nonostante) le sue innumerevoli imperfezioni. Jack ha dovuto combattere contro i pregiudizi della famiglia borghese da cui proveniva Rebecca e con l’alcolismo, eppure é stato un marito e un padre amatissimo, e l’incendio che l’ha ucciso ha devastato tutti noi (era troppo presto, sigh). Rebecca a volte era fin troppo ‘presente’ nella vita dei figli, a volte troppo ‘perfetta’. L’abbiamo adorata. Ognuno dei giovani Pearson ha avuto crisi esistenziali, traumi con cui fare i conti e fragilità da superare, e li abbiamo amati anche per questo.
Personalmente, mi sono riconosciuta in tanti di loro. Se ci penso adesso, la me di sei anni fa, quando lo show é iniziato, era anni luce distante e diversa dalla me di ora. Devo essere cresciuta anch’io, tentando, come loro, di trovare la mia strada nel mondo.
Come non trovare credibile la mania del controllo di Randall (praticamente me in versione maschile) e la sua difficoltà a gestire lo stress? Le lotte continue di Kate (la nostra Katie Girl) con il peso, fino all’accettazione del fatto che non é il nostro peso a determinare il nostro valore.
O il percorso di vita dei Katoby: i matrimoni in cui si fa tanta strada insieme, ma poi ad un certo punto le persone si allontanano perché sono cresciute in maniera diversa e sono destinate ad essere felici separatamente. ‘This is not the way that our story ends’. Il fatto che il nostro matrimonio sia finito non significa che la nostra storia sia finita: ecco la mia frase preferita di quest’ultima stagione, quella che Kate dice a Toby dopo aver divorziato.
O ancora, il percorso alla ricerca di un equilibrio fra le proprie ambizioni e le esigenze della propria famiglia, e la necessità di capire perché non si riesca a trovare una stabilità affettiva (Kevin).
Last, but not least: il tema del lutto. La morte, l’accettazione di una disabilità (la cecità di baby Jack), la malattia – in una delle sue versioni più devastanti, come l’Alzheimer. La perdita di una persona che é ancora qui con il corpo, ma é già andata via con la testa, perché ha perso un mare di ricordi. La penultima puntata della stagione (The Train) ha raccontato perfettamente questo tema; il viaggio di Rebecca verso la fine é agrodolce. Triste, ma con la consapevolezza che si é tanto seminato di bello: come le dice William, if something makes you sad when it ends, it must have been pretty wonderful when it was happening. Se qualcosa ti rende triste quando finisce, dev’essere stato fantastico quando é accaduto.
L’ultimo episodio della serie ci ha raccontato cosa voglia dire ripartire da un lutto. Viverselo tutto, ma al tempo stesso fare tesoro di quello che si é perso, per poi ricominciare a fare piani per il futuro e tornare a sorridere con la consapevolezza che la persona che ci ha lasciati did us good.
Trovo molto difficile, dopo questi sei meravigliosi anni (e già mi mancano tutti), scegliere un personaggio o un attore preferito della serie. Non ho mai fatto mistero di quanto non sia mai stata una fan accanita di Miguel (semplicemente non é scattato lo spark, tutto qui); non ho ‘cliccato’ nemmeno con Kevin per molto tempo; di sicuro, la performance della matriarca Mandy Moore é stata f-e-n-o-m-e-n-a-l-e. Merita un Emmy. Come quella di Chrissy Metz, straordinaria. Ok, aspettate però: Milo Ventimiglia non é da meno. Impossibile lasciare fuori Sterling K. Brown. E Susan Kelechi Watson (la mia adorata Beth, donna di un’intelligenza, forza e dolcezza strepitose)?
Ok, ok, forse mi sono fatta prendere un pò troppo la mano.
A questo punto penso di aver lasciato molto poco spazio all’immaginazione (oh yeah, avrei dovuto mettere uno spoilert alert all’inizio, sorry!), ma per CHIUNQUE non l’abbia ancora visto, please ladies, please: non potete perdervi la serie del secolo.
Io nel frattempo, per ovviare alla mia crisi d’astinenza da This is Us, vado a leggermi il mio nuovissimo acquisto: il libro This is Me di Chrissy Metz.