Intervista: Cristina Marconi

Cristina Marconi è una giornalista italiana ed è una italiana a Londra. Filosofa di formazione e giornalista da più di dodici anni, ha raccontato la crisis del debito da Bruxelles prima di trasferirsi a Londra a fare la giornalista, la ricercatrice e la scrittrice.


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Cristina Marconi è una giornalista italiana ed è una italiana a Londra. Filosofa di formazione e giornalista da più di dodici anni, ha raccontato la crisi del debito da Bruxelles prima di trasferirsi a Londra a fare la giornalista, la ricercatrice e la scrittrice.

Ha lavorato a un documentario per la BBC e ha scritto un libro sulla stampa e l’Unione europea, continua a scrivere anche per Il Messaggero e Il Foglio. La sua attenzione principale è sempre stata rivolta agli affari economici e finanziari, sia da una prospettiva europea, sia da un punto di vista internazionale.

Ma Cristina è anche una scrittrice, ha esordito nel 2019 con “Città irreale” (casa editrice Ponte alle Grazie), vincitore del Rapallo Carige Opera Prima e del Premio Severino Cesari Opera Prima. Con Giulio Perrone Editore ha pubblicato A Londra con Virginia Woolf (2021) e con Neri Pozza “Come dirti addio: Cento lettere d’amore da Saffo a Garcia Lorca” (2022) e più recentemente ha scritto “Stelle Solitarie“, uscito con Einaudi.

Ho il grande piacere di intervistare Cristina Marconi oggi per “Italiane a Londra” sperando di ispirare tutte le donne che vivono in questa città a realizzare i loro sogni.

1) Per quanto hai vissuto a Londra Cristina?

Ammesso e non concesso che si possa mai smettere di vivere a Londra, ci sono stata per 11 anni, fino al 2021. Ci avevo già vissuto per un anno nel 2001-2002, quando la città era polverosa e i pub sapevano di brodo. Irresistibile.  

2) Quanto è stata influente per la tua carriera e i tuoi libri questa città.

In maniera smisurata, enorme. Londra è una casa, ma anche un metodo, ti insegna a guardare a te stessa con una libertà impensabile altrove. Poi ti chiede di darti da fare, molto, ma non manca mai di farti passare davanti un appiglio o uno spunto. Non mi sarei autorizzata a scrivere se non avessi avuto intorno a me tanti modelli positivi, se non avessi letto, la mattina in metropolitana, tante interviste di gente che aveva pensato di fare una cosa e l’aveva fatta. Mi ha ispirata, è stata un enigma, un sollievo e una risata, Londra. Tutto molto condiviso con un marito ancora più anglofilo di me. Il mio secondo libro, A Londra con Virginia Woolf è una guida letteraria della città, ma la scrittrice mi ha spiegato molte cose, sui cimiteri in città o sulle sfumature sociali dei diversi quartieri. E soprattutto sul modo migliore per visitarla: uscite di casa con una scusa, in un pomeriggio d’inverno quando l’aria è fredda e brillante, e lasciatevi guidare dalle storie che vi passano accanto, dimenticatevi un attimo di voi e vivete un’avventura prima di tornare alla vostra vita. Funziona, lo giuro (ma lo sapete anche voi!).

3) Ho letto il tuo bellissimo libro, “Città Irreale” that I  strongly recommend to the ladies in our group e mi è piaciuto tanto, come è nata l’ispirazione per la sua stesura?

Grazie! Città irreale è il mio primo libro, parlarne è sempre una gioia tutta speciale. Dopo qualche anno a Londra, mi sembrava che la nostra storia, la nostra avventura collettiva non fosse raccontata, che ci fosse un aspetto che sfuggiva sempre e ho cercato di catturarlo. Un’emigrazione gigantesca, un fenomeno generazionale fortissimo, eppure i media italiani si concentravano sul binomio “Opportunità & Nostalgia”, ossia sul racconto molto consolatorio e un po’ ipocrita di una generazione che andava via alla ricerca di lavori favolosi ma che sognava la lasagna della nonna. Non era quello che vedevo intorno a me: chi arrivava a Londra lo faceva perché voleva un perimetro di libertà e di autonomia, sfuggiva a un modello famigliare tendenzialmente soffocante, che è quello prevalente in Italia, voleva crescere, vivere in un contesto moderno e reattivo, ma restare sempre un po’ ragazzo, con la possibilità di reinventarsi in eterno. È un po’ la Neverland di Peter Pan, non ci si ingrigisce, si può sempre voltare pagina e per questo ha una dimensione irreale, proprio perché la parte pratica è molto più gestibile che in Italia. Ascoltavo le conversazioni sul bus notturno, persone appena sbarcate che si davano consigli su come farcela in qualunque settore, dai ristoranti un po’ dodgy all’alta finanza, e sentivo sempre questo sogno che pulsava, pulsava forte. Autonomia, ambizione, fuga dalle costrizioni. E se non è un romanzo questo…

Era il 2016, anno della Brexit, il libro è poi uscito nel 2019, ai tempi mi sembrava che questa storia la si volesse rimuovere. Nello stesso anno, quei due geni di Calcutta e Giorgio Poi hanno raccontata qualcosa di simile con La musica italiana, un pezzo che mi commuove sempre un po’.

4) Nel tuo libro “Città Irreale” la protagonista, Alina, una italiana a Londra come noi, naviga non solo la realtà urbana, ma quella sociale, che forse è uno degli aspetti più complessi della vita nel Regno Unito. Ti sei ispirata a episodi vissuti in prima persona?

Io sono arrivata con il mio compagno, poi marito, e quindi non ho esperienza di dating londinese, ma fin dall’inizio abbiamo avuto tanti amici britannici, ci siamo ritrovati a feste molto posh in cui si mangiava l’insalata dalla busta e si ballava nel fienile, a cene in cui si presentava un baronetto con le unghie sporche dopo aver fatto giardinaggio, o abbiamo ascoltato l’amica di successo che ancora parla delle sue origini umili e del suo accento non perfetto come se fossero visibili a tutti nonostante la carriera favolosa. Abbiamo osservato una middle class così omogenea nei gusti e vitale nei contenuti. Il fatto che Alina non sia “leggibile” socialmente agli occhi dei londinesi è una cosa che, credo, abbiamo sperimentato tutti, lei che è figlia di un piccolo negoziante e sta con un uomo della upper middle class ma non per questo è una Elizabeth Bennett che deve fare i conti con la superiorità sociale di Darcy: lei è libera, ma deve capire i codici locali per orientarsi, e non è sempre facile. È la storia londinese per eccellenza.

5) Alina, la protagonista del tuo libro è un personaggio nel quale tantissime italiane a Londra possono rispecchiarsi, ma in un certo senso, al contrario, lo è anche Vicky. Quali sono secondo te le difficoltà che possono avere le donne anglosassoni che scelgono di vivere in Italia e come possiamo venirci incontro come donne, spesso tanto diverse?

Grazie per la domanda, Vicky per me è un personaggio importantissimo anche perché mostra l’altra faccia della medaglia, il fatto che la ricerca di un altrove appartiene a tutti, è un istinto naturale per chi vuole crearsi una dimensione tutta sua. Lei va a Reggio Emilia negli anni Novanta, è un’idealista, si perde. Ma da inglese è meno incline a compiacere gli uomini, gioca alla pari con i maschi, il modello dell’angelo del focolare è superato da tempo. Io credo che dalle britanniche questo ci sia da imparare: non puliamo troppo casa, non cerchiamo di essere perfette, la nostra perfezione semmai cerchiamola nel mondo che ci vogliamo creare e non nell’approvazione della famiglia d’origine. Tornando in Italia mi sono resa conto di quanto il sessismo sia un problema enorme e quanto questo distolga tante donne dall’avere figli: la pressione è troppa, anche se ne hai solo uno. Le mie amiche inglesi ne hanno tre e magari non hanno sempre i vestiti stirati e inamidati, ma sono bambini felici e mangiano le verdure. Questo si applica a tutte le sfere della vita, dall’aspetto fisico alla vita sociale.

6) Amo molto le location londinesi nelle quali hai ambientato il Libro, in particolare Hampstead che resta uno dei miei luoghi preferiti. Quali sono i tuoi luoghi speciali, quelli dove, quando sei a Londra, ti senti a casa?

Io ho sempre oscillato tra Islington e Stoke Newington, è lì che è nata mia figlia, che ho passato le giornate sui prati con lei neonata e le mie amiche, a guardare il cielo e la gente intorno a me. Un periodo di felicità enorme e, scusate se ripeto la parola ancora una volta, di grande libertà. Quando ero più giovane ho abitato a Chelsea, nel basement più piccolo di Londra, ma aveva la carta da parati a fiori e la mattina vedevo passare le papere per strada, perché era vicino al fiume. 

7) Cristina, hai scritto anche un altro libro recentemente, ce ne vuoi parlare?

Stelle solitarie, uscito con Einaudi, è il racconto di un’amicizia e di un viaggio in Texas – il Lone Star State, un nome così evocativo, come tante delle cose che ci sono successe in pochi giorni – alla ricerca di una cura. È molto autobiografico, c’è stato un momento in cui l’ombra della malattia si è allungata sui miei affetti, persone giovani e belle, ho voluto “fotografarlo” anche per trattenere tutta la luce possibile e riflettere, attraverso un racconto, su una dimensione di cui fatichiamo tutti a parlare, ma che fa parte della vita. È un libro diverso da Città irreale, anche se in tanti dicono che sembra quasi che Alina sia cresciuta e si stia confrontando con i problemi dell’età adulta. La mia amica dice che dovrei mandarlo a Kate Middleton, lei anche è una stella solitaria, costretta per un po’ a brillare in disparte.

8) Guardando al futuro quali sono i tuoi progetti e sogni nel cassetto?

Continuare a scrivere e raccontare storie, sia da giornalista – è sempre stato il mio mestiere, da Londra ho raccontato la Brexit dagli aspetti più politici a quelli più culturali e sociali, prima ancora ero corrispondente a Bruxelles – che da scrittrice. Ho tante identità, la città irreale mi ha insegnato che non bisogna per forza scegliere, ma senz’altro bisogna avere tutto il pragmatismo necessario per tenere tutto insieme. E quindi avanti così, mille città e mille progetti di scrittura!  

9) Cosa consiglieresti alle donne che vivono a Londra ora e che inseguono un sogno come il tuo?

Per me Londra è stata la città del “tutto è possibile”, anche se all’inizio mi intimidiva molto, non mi sentivo all’altezza, mi intristivo se non trovavo una parola in inglese. Credo che Alina, nel libro, spieghi bene le varie reazioni davanti alla città: lei non è un personaggio autobiografico (solo nella sua reazione a Roma, quello sì) ma nasce dai racconti di tante amiche, delle ragazze che hanno fatto da tata a mia figlia e che mi raccontavano le loro cose. Le “Aline”, le chiamavamo con mio marito. Ma ovviamente ci sono molti “Alini” maschi che hanno vissuto esattamente lo stesso, anche se per un uomo non c’è l’impatto con un sistema meno sessista: ovvio che per le donne Londra ha anche quello, come vantaggio. Pur essendo imperfetta, la situazione non è paragonabile con quella italiana. C’è un vecchio pezzo dei 24 Grana che si chiama Kanzone su Londra, un verso in particolare mi ha colpito: “Campando freestyle”, dice. Ecco, non dimentichiamocelo mai.

10) Hai riflessioni importanti da condividere anche con le donne che scelgono di rientrare in Italia?

Ricordo un’amica di un’amica di un’amica che aveva provato a tornare in Italia e poi, dopo un anno, aveva fatto marcia indietro. Mi disse una cosa che mi fece molto ridere, “L’Italia non è Londra con le mozzarelle buone”. Confermo: l’energia della città, la sua gentile stravaganza sono cose che all’inizio mi sono mancate in maniera acuta, a tratti dolorosa, e pazienza che ero a casa, che potevo scegliere tra dieci tipi di stracchino diverso e che in due ore ero al mare. Non sottovalutate mai Londra e le cose insostituibili che può dare, tra cui il fatto di avere progetti, di parlare con gente che ha progetti, di perderti in un parco. Ora a Milano sono molto felice, ma ci ho messo tre anni a orientarmi, e ancora non sono scesa a patti con una certa assenza di grazia nelle piccole cose.

11) Dove possono le nostre lettrici italiane a Londra trovare i tuoi libri e leggere di più sul tuo conto?

Fino a qualche anno fa c’era la libreria di Ornella, la queen mother di tutte le ragazze italiane a Londra, quella con la storia più avvincente, saggia come Atena, divertentissima. La sua libreria era un punto di riferimento per tutti. Ora bisogna inseguirla sulla sua pagina Instagram e all’Istituto italiano di cultura, dove succedono cose bellissime. I miei libri conviene comprarli in Italia o, per “Città irreale“, online. Io sono molto attiva, faccio presentazioni ovunque, su IG segnalo tutto, tornerò a Marzo a Londra per parlare di due grandissime scrittrici. Vi aggiornerò presto. Ai tempi di Città irreale ho avuto la fortuna di vincere dei premi letterari e di parlare tanto di Alina: in rete trovate tutto. Spero che la sua storia continui a parlare alle lettrici e ai lettori, perché è la storia di tutti noi.


One response to “Intervista: Cristina Marconi”

  1. marzia zamboni avatar
    marzia zamboni

    Bellissimo ♥️

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